L'InterSvista è a cura dell'editrice Maria Grazia Russo. L'InterSvista può essere nociva per le persone affette dalla mancanza cronica di ironia.
Carissima Ilaria è un piacere svolgere questa InterSvista con te!
A vederti con questi capelli biondi e gli occhi verdi hai un’aria quasi angelica, immagino che da piccola sembravi una Cherubina (esistono gli angioletti in versione femminile? Vabbè non distraiamoci...); e invece salta fuori che sei una Nerd patentata, di quelle toste!
Di casi “speciali” in Spirito Libero ne abbiamo moltissimi e mi sembrava, in effetti, un po’ strano che tu potessi essere l’unica normale della combriccola. Quindi mi giunge spontanea la prima domanda.
Se ci fosse una scala da uno a dieci di livello di nerditudine, tu dove ti collocheresti?
Intanto, piano coi termini. Nerd? Io sono una OTAKU! Che è, sì, il termine giapponese per indicare un nerd appassionato di manga e quant’altro. Ma vuoi mettere quanto fa più sofisticato? Gli otaku italiani sono quelli che si guardano le serie in lingua senza sapere una parola di giapponese, che chiamano i
personaggi col loro nome originale e spendono stipendi e stipendi per gli artbook dei loro autori preferiti. Il mio livello di nerditudine è alto, sappilo. Io sono quella che da piccola voleva andare in Giappone a disegnare cartoni alla Toei Animation, che è partita per Parigi quando ha saputo che in un negozietto avevano un pamphlet di Yasuhiko (quello di Gundam, n.d.r.), e che ha sempre dato nomi giappo ai suoi gatti. A proposito: Nami, qui, vi saluta. Sulla questione ‘puttino’ (che non declineremo al femminile per assonanze poco felici), ti dico solo che da bimba, intrisa di pomeriggi davanti ai vari Tetsuya e Toshio in tv, invidiavo da morire i capelli di una compagnetta di scuola: lunghi, lisci e nerissimi. Mentre io li avevo corti e gialli. Saranno ingiustizie, queste?
Questa nostra chiacchierata si svolge a pochi giorni dall’uscita del tuo secondo romanzo. A passo disuguale. Che, guarda caso, ha un sottotitolo un po’ particolare: Mattia, la rossa del treno e il Dylan Dog n.49.
Eh già. Mi sono divertita come una matta a costruire i personaggi di Mattia e del suo amico Loris in qualità di appassionati di fumetti. Ho disseminato ovunque rimandi e citazioni nascoste, non solo di
manga e anime, ma anche di film Marvel, Disney. E, ovviamente, ho voluto rendere omaggio al nostro amato Dylan Dog, che funge da filo rosso nella storia. È l’appiglio che permette a Sara di approcciare Mattia in treno e tornerà come vettore visivo lungo tutta la trama, fino alla fine. Ci sono affezionata, a quel numero.
Se la regia può inquadrare, mostro la mia antica copia del n. 49
Il tuo romanzo, pur classificandosi come narrativa contemporanea, lo hai definito un po’ commedia romantica, un po’ romanzo umoristico, anche se affronta in effetti un tema molto serio, che hai deciso di svestire di quell’alone di sacralità che gli appartiene. Ritieni dunque che la vita potrebbe essere vista come un albo a fumetti?
Sarebbe triste, se non fosse così: cosa ci stiamo a fare, a ’sto mondo, se non possiamo essere protagonisti di una pagina d’inchiostro? Il fatto è questo: ho voluto sviscerare un nocciolo che dire serio è poco,
riguardo una patologia come la sclerosi multipla. Ma, cosciente della delicatezza necessaria a parlarne, non potevo svilirlo dando in pasto al lettore la figura di un malato che fosse retorica, piatta, come tante volte ho visto nei film o letto sui libri. Volevo che fosse un caleidoscopio di facce, mostrarne la concretezza. Come hai detto tu, volevo svestire il malato del suo ruolo. È per questo che ho scelto Loris come voce narrante: perché è il più dissacrante del gruppo e mi permetteva di allontanarmi da una pesantezza che non volevo, nonostante tutto. Eppure, l’argomento lo richiede: sapevo di aver bisogno di una pluralità di voci, per essere giusta coi miei personaggi. Per questo, chi dovesse leggere A passo disuguale, si troverà davanti certi capitoli, più piccoli e densi, chiamati ‘Feritoie’, dove il punto di vista cambia e diventa quello di Mattia, col suo carattere serio e toni ben diversi da quell’amico. Insomma: è un romanzo bipolare. Fatevene una ragione.
Sappiamo che sei stata diversi anni negli States, in Virginia per l’esattezza. Ci vorresti spiegare come mai sei stata cacciata dall’Italia?
Ah, guarda! Io ci ho provato: se esilio doveva essere, valeva almeno la pena andare in Giappone, no? Ma niente! In America ci hanno mandato! In realtà è stato per la professione di mio marito: io ero solo al traino, con figli a seguito da gestire. E solo una volta giunta là, ho saputo di non aver il Visto adatto per lavorare. Non ti dico il panico: io la casalinga non la so fare! Non so neanche come si lava il parquet. E lì è tutto parquet! Poi piano piano, sai, l’uomo è un’animale abitudinario, e ho trovato il modo di sfruttare il tanto tempo libero: ho iniziato a scrivere. Non so se l’avrei mai fatto, in altro modo, sempre di corsa come siamo. Ma è stata un’opportunità, mi sono ritrovata in mano qualcosa che mi piaceva fare e da lì non ho più smesso. L’America non mi ha regalato solo scenari magnifici e quotidiano diverso, ma una nuova strada da percorrere. Anni fa esisteva un programma tv, su Rai 3 la mattina presto, quando stavo a casa da scuola, prima che iniziasse la maratona Italia1, con Magnum P.I., i Chips, Supercar – ricordi? Come facevamo tutti –. Ecco, il programma si chiamava Tempo perso e raccontava di come certe passioni che il mondo considerava ‘tempo perso’, fossero queste Star Trek, un modellino da montare o l’ultimo livello di Tetris, diventassero un lavoro, nelle mani di chi riusciva a immaginare un percorso. Quest’idea mi è sempre rimasta impressa; e in qualche modo, prima col disegno diventando illustratrice, e adesso mettendomi a scrivere… l’ho realizzata. È una bella sensazione, rigirare gli imprevisti.
Qual è la cosa più bizzarra che hai visto fare negli Stati Uniti? (O forse non c’è spazio a sufficienza per parlarne?)
È proprio un’altra mentalità! Non mi abituerò mai alle case fatte totalmente di legno, coi tetti che si smantellano e si rimettono su in mezza giornata; ai pulmini gialli chilometrici; a che la mattina apri la porta e ti trovi il cartello dello studente del mese, che ti hanno picchettato quelli della scuola dei figli, nottetempo. Al fatto che ricercano i gifted, ossia quelli dotati in qualche materia, per cullarseli in percorsi di studi a sé. O ancora all’orso che ti gira nel quartiere. Agli uragani. La disoccupazione che non esiste. O peggio, a quei folli che trovi al Walmart in pigiama e ciabatte, anche a gennaio col freddo che fa, e nessun gli dice niente. Ma niente! Ti sembra normale, che girino in ciabatte? Ecco, questa bizzarria mi manca un sacco. No, troppa roba da raccontare, guarda. Bisognerebbe davvero scriverci un libro. Anzi, ora che ci penso… Cancella un po’ tutto, ché il libro lo scrivo sul serio!
Ringrazio di cuore Ilaria Simonini per essersi prestata a questa InterSvista. Domande fuori luogo. Il suo romanzo A passo disuguale. Mattia, la rossa del treno e il Dylan Dog n.49 è disponibile in libreria, su Amazon in formato cartaceo e ebook, nonché kindle unlimited, e su tutte le piattaforme online.
Scopri di più (le cose serie stavolta) su Ilaria Simonini. Se siete curiosi potete dare un’occhiata al nostro catalogo presente sul sito.
Se invece volete azzardarvi a conoscerci di persona... ecco le fiere a cui abbiamo già dato conferma per il 2025, ma il calendario si aggiorna costantemente!
Fiera del libro, del fumetto e dell'irrazionale
Roma, 22 e 23 febbraio 2025
Narratori dell'ignoto
Presso La Casa dei Giochi in via Sant’Uguzzone 8
Milano, 29 e 30 marzo 2025
Salone Internazionale del libro
Presso Lingotto Fiera
Torino, dal 15 al 19 maggio 2025
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